Speranza, una parola cara che è con noi ogni giorno anche quando tutto ci sembra pesante.

 J. Paul Sartre, in dialogo con Benny Levy, riconosce che ogni uomo vive con la speranza, cioè crede che qualsiasi cosa intraprenda, o che lo riguarda, o che concerne il gruppo sociale al quale appartiene, sia in corso di realizzazione, si realizzerà, e sarà positiva per lui come per coloro che costituiscono la sua comunità. La speranza insomma fa parte dell’uomo. L’azione umana è trascendente, cioè mira sempre a un oggetto futuro a partire dal presente, nel quale noi progettiamo l’azione e tentiamo di realizzarla. Essa pone il suo fine, la sua realizzazione nel futuro. E, nella modalità dell’agire c’è la speranza, ossia il fatto stesso di porre un fine come se dovesse essere realizzato

La cosa un po’ paradossale, provando a inserire il termine su Google nel gioco di ricerca di origini e connessioni è che ora -pur scrivendola in minuscolo- per prima cosa ci appare l’attuale ministro della salute, Roberto Speranza. E non è solo il primo risultato, ma anche il secondo, il terzo e così via. In questo momento, Google ci detta la priorità di ricerca. Parliamo di speranza? Ecco qui…Covid, Ministero della Salute etc etc.

Solo all’ottava voce la Treccani ci ricorda che il significato sta in quel Sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera.
Siamo andati a visitare una mostra che nasce dall’archivio Publifoto di Intesa San Paolo, sul bombardamento di Milano da parte degli alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Curata da Mario Calabresi, propone il confronto fotografico tra alcune piazze o vie distrutte dalle bombe, e le stesse piazze o vie ritratte nei giorni di lockdown di marzo. La Milano distrutta e la Milano ricostruita ma deserta e attonita.

 

2781519827091133

 

(Un nota bene che è una considerazione personale: i termini bellici che moltissimi hanno utilizzato per parlare di questo lungo periodo, non li condividiamo. È un momento difficilissimo. Ma non è la guerra)

La mostra sottolinea con la forza dirompente della fotografia che una ricostruzione e una ripartenza sono possibili e che la speranza è connaturata all’uomo -consapevole o meno- anche quando tutto sembra insopportabile e inaffrontabile e lo fa agire. Anzi una speranza tenace è il motore della ripartenza. Non si riesce a rimanere indifferenti davanti alle macerie in Piazza della Scala o a Brera o in via Torino. In Santa Maria delle Grazie solo un cumulo di macerie dove miracolosamente è rimasto illesa la parete con il Cenacolo di Leonardo, in una foto commovente avvolto tra stecche di legno e teli per proteggerlo, unico superstite allo scempio. Ma ugualmente le immagini offrono un conforto: le persone ritratte in momenti di quotidianità per le strade distrutte, un uomo che si fa radere dal barbiere su uno sgabello in mezzo ad un cumulo di mattoni e macerie, un gruppo che siede a tavola nella via e sulla tavola apparecchiata fiaschi di vino e cibo. Quando tutto sembra crollato, c’è un invincibile desiderio nell’uomo di ripartire.

Visitare questa mostra è come ricentrare lo spirito: è vero abbiamo davanti un futuro incerto, e viviamo in un presente difficile, ma teniamo nella coda dell’occhio tutte le difficoltà che nella storia abbiamo attraversato. Guardiamoci indietro. Anche nelle nostre storie personali e non solo collettive. Quante difficoltà abbiamo già superato?