Una maestra di scuola primaria accompagna da vent’anni i bambini, appena terminato il percorso della scuola materna, nel mondo magico dell’alfabeto, di quei segni grafici che aprono la possibilità di leggere e scrivere. Per vent’anni il metodo da lei usato è stato sempre lo stesso, quello sillabico, con uno spazio lasciato alla creatività personale per inventare storie e personaggi abbinandoli ad ogni lettera. La A di Achille e la sua storia, ad esempio.

Ad un certo punto la direzione scolastica propone un cambiamento. Un nuovo metodo, una formazione basata su un altro approccio. Dopo vent’anni? Beh, immaginiamo con che dubbi e resistenze si possa accogliere questa proposta!

 

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L’abbiamo chiesto a lei e le sue risposte ci hanno coinvolto: alla fine non è quello di cui ci occupiamo anche nei processi aziendali?

Ho avuto resistenza perché la prima reazione è stata: “Ma ho sempre fatto così e tutto sommato, anche se per ogni bambino è diverso, ha sempre funzionato, perché dovrei cambiare?  Anche perché il nuovo metodo Venturelli che prende il nome dalla sua ideatrice, richiede da parte dell’insegnante significativi cambiamenti di procedimento e anche dell’organizzazione di una giornata in classe, cambiano anche le tempistiche, ma non è tempo perso perché è come se tu mettessi da parte un tesoro che poi viene fuori con tutti i suoi vantaggi. È sempre difficile però cambiare e mettersi in discussione, anche se uno degli aspetti più belli del mio lavoro è che impari insegnando. Ogni volta è diverso perché diversi sono i bambini, e in più arrivano queste proposte, queste novità a spazzare via le abitudini ed è un bel vantaggio perché è come se facesse rimanere anche te giovane. Un po’ di resistenza lo ammetto c’è stata, poi, addentrandomi nelle lezioni e studiandolo, mi sono ritrovata più volte a pensare che se avessi iniziato prima ad utilizzare il nuovo metodo con questo o quel bambino forse adesso non avrebbero le difficoltà che hanno. È una scommessa che mi interessa!

Tra le sue parole due in particolare brillano come scintille: accettare la sfida del cambiamento vuol dire mettersi in tasca un tesoro, un investimento che al momento richiede una certa fatica che ma che nel tempo può germogliare e la seconda è “scommessa”: una decisione che ha dentro un po’ di “non lo so” e che mescola noto e ignoto, previsto e imprevisto ma che apre nuove strade, e che può andare inaspettatamente oltre quello che già pensiamo di sapere.