C’è una giraffa sul tetto del Franco Parenti, al di sopra dell’insegna Teatro che si specchia nelle acque dei Bagni Misteriosi. È la Giraffa Raffaella, un’opera dell’artista fiorentino Sedicente Moradi, e un po’ come il teatro è curiosa di vedere più in alto del suo sguardo, con il suo collo lungo cerca di scorgere, al di là delle nuvole, il futuro.

Così scrive Andrèè Ruth Shammah a proposito dell’istallazione artistica che si può vedere da qualche giorno sul tetto del Teatro Parenti. Un simbolo che ci spinge a guardare oltre le incertezze e le paure di questo tempo. Prima di ricominciare con la programmazione in cartellone, il Teatro ha deciso di aprire le porte a tutti la sera, come gesto emblematico di accoglienza in un luogo amico, dove riappropriarsi di un’atmosfera stimolante e creativa. Per riportare lo sguardo oltre l’orizzonte.

L’arte, in tutte le sue espressioni, ha sempre saputo parlarci e toccare corde speciali, anche in situazioni molto più ostili di oggi. Ci viene in mente, tra le tante storie che si potrebbero raccontare, una fotografia: un violoncellista suona seduto tra le macerie fumanti di una città.

 

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Sarajevo, siamo negli anni ’90. La città è sotto assedio, una delle vicende storiche più lunghe e dolorose all’interno del conflitto bosniaco.

Il violoncellista Vedran Smailović  assiste dalle sue finestre al massacro di 22 civili in coda per il pane. Prende il suo violoncello e scende in strada tra macerie e corpi dilaniati, e suona l’Adagio di Albinoni. Lo farà per 22 giorni consecutivi (tanti quanti i morti di quel giorno), per diverse ore, incurante dei cecchini e dei rischi. In un’intervista a Repubblica, racconta: “Non c’era alcunché di programmato, era impossibile pianificare in una zona di guerra. Riuscivo solo a piangere e i miei vicini mi consigliarono di uscire a suonare per le strade di Sarajevo. Iniziai a suonare e solo dopo un po’ mi resi conto che stavo intonando l’Adagio di Albinoni. Ho continuato a farlo per mesi, perché la gente mi diceva che se avessi smesso di suonare Sarajevo sarebbe caduta»

In quei giorni viene bombardata anche la Biblioteca della città, con i libri e la memoria storica custodita al suo interno. Molte persone, per lo più gente comune, rischiano la vita (qualcuno anche la perderà) cercando di salvare più volumi possibili. Di notte alcuni poeti e letterati si riuniscono in una delle sale rimaste integre, per parlare di poesia, “per impedire l’arresto del cuore del mondo” come disse Sarajlic, uno di loro.

Come ci sembrano belle e attuali allora, tornando più indietro nel tempo, le parole che Papa Paolo VI rivolse agli artisti, nell’ottobre del 1965:

Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione.