Vorremmo dare una suggestione su cui ognuno farà le sue considerazioni, a noi è solo venuto spontaneo in qualche modo pensarci, ragionarci, lasciarci provocare.

Guardate queste due foto:

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Esiste un sito già da qualche tempo in cui si possono creare volti iperrealistici con un solo click. Sfondo e facce che cambiano continuamente e che sembrano poter avere un nome e un cognome ma che in realtà sono state create utilizzando l’algoritmo di intelligenza artificiale chiamato “generative adversarial networks”, abbreviato in GAN.

Qui potete fare qualche prova:

https://this-person-does-not-exist.com/it

Impressionante, vero?

Le possibilità di utilizzo di queste immagini sono molteplici e non ledono alcun copyright o diritto di privacy, semplicemente perché le persone non esistono e questo già di per sé risolve non pochi problemi per il loro utilizzo (con tutto quello che di positivo o rischioso può comportare).

Proprio in questi giorni a Milano sono visitabili due esposizioni in cui il volto umano è protagonista assoluto.

Al Museo Diocesano ci sono i ritratti di Lee Jeffries (Bolton, 1971). Fotografo sportivo, ad un certo punto della sua vita decide di avvicinarsi col suo obiettivo a persone emarginate che vivono per strada, cogliendole nella loro vita quotidiana. Con loro entra in un rapporto intimo, di fiducia, ne ascolta i racconti, le fatiche, i desideri. Ci trascorre del tempo. I ritratti esposti sono potenti, non lasciano indifferenti chi li guarda. Occhi vivi, volti scavati, alcuni scherzosi, altri drammatici, ma osservandoli si sente la vita che scorre dentro ogni ruga o segno del volto.

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A poca distanza, è stata inaugurata il 31 gennaio un’istallazione dello street artist JR, sulle facciate dell’Arengario in Piazza Duomo. Anche qui un insieme di volti forma un mosaico in bianco e nero. Mille ritratti di ospiti di Rsa italiane, scattati da studenti di fotografia dell’Accademia di Brera, per dare voce a chi ha sofferto in modo particolare le difficoltà del periodo pandemico.

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È quasi impossibile distinguere tra foto reali e foto generate da algoritmo. La differenza (oltre al prezioso tocco dell’artista) è la vita dietro ai volti che guardiamo. Lo dice bene Lee Jeffries:

“La vita lascia il segno.
A volte è una cicatrice visibile che corre frastagliata nell’anima.
A volte è il loro volto, una sintesi di ciò che i demoni della vita hanno lasciato dietro di sé.
Ci sono momenti in cui l’anima di una persona si presenta, solo per un secondo.
Un momento in cui la chiarezza torna a vorticare nei loro occhi e i ricordi inondano la loro mente, pungendo il loro cuore”.