Non capita anche a voi, in certe giornate di luce particolare, di notare, seppur distrattamente, le ombre di un albero, il gioco delle foglie su un muro, il dettaglio di un portone che, proprio grazie a un riflesso, acquisisce un che di misterioso? Capita. Qualcuno se ne accorge, qualcuno passa oltre.
Qualcuno invece fa di quell’attenzione all’ordinario un mestiere, il lavoro di una vita intera: fermare quella luce e quello sguardo in una fotografia che, per quanto possa sembrare insignificante, è il frutto di un processo rigoroso, di un vedere allenato, coltivato nel tempo con cura e disciplina. Niente è a caso e tutto fa parte di un’indagine sulla realtà, a cominciare dal muro della propria casa.
Visitando la mostra “Da un’altra parte” di Guido Guidi alla Galleria Sozzani, in Corso Como 10 a Milano, ci si chiede continuamente: perché quella crepa? Perché quel residuo informe sulla spiaggia, quell’ombra riflessa, quel buco in una parete scrostata dovrebbero essere degni di attenzione? È impossibile non farsi questa domanda, perché dentro una sensazione di straniamento si coglie, in qualche modo, una bellezza fuggevole.
© Guido Guidi
Probabilmente non avremmo mai fotografato quell’angolo di strada o un muro diroccato. Eppure, le fotografie di Guidi hanno varcato i confini: fin dagli anni ’60 è riconosciuto come uno dei più grandi fotografi al mondo, con esposizioni importanti alla Fondation Cartier-Bresson di Parigi e in tempi recenti, al MAXXI di Roma.
I suoi soggetti quotidiani si impongono con la loro fisicità, attraverso uno sguardo che scardina la nostra idea di ciò che merita attenzione, di ciò che fa bella una foto. Con i nostri cellulari sempre più performanti, che correggono in tempo reale ogni difetto, cerchiamo immagini perfette, allineate a un’estetica condivisa, prevedibile. È per questo che vagare tra le fotografie di Guidi può risultare spiazzante, quasi fastidioso a una lettura immediata. Ma è proprio da questo attrito che nasce qualcosa: una voglia di capire, di approfondire, di conoscere di più. È una fotografia che interroga, senza compiacimenti né retoriche.
“Conoscere” è una delle parole che Guidi utilizza per parlare del suo lavoro: “Io non ho le idee chiare. Fotografo per conoscere, per capire (…) Scopro piccole cose mai definitive. Sono incomprensioni stabili. Lungi da me voler comprendere il mondo. Cerco per curiosità cose che altri non guardano. E ancora “quello che io compio è un atto devoto nei confronti del filo d’erba, del paracarro, di una colonna dorica o corinzia, fotografare è un atto devoto nel senso laico o nel senso che vuoi tu”. È uno sguardo di chi fissa a lungo qualcosa, con intensità, dove quello che conta non è il risultato finale ma il fotografare come atto in sé. Qui un bell’ articolo di Luca Fiore per approfondire.
A noi che guardiamo i suoi scatti rimane una sensazione di profonda concretezza, di amore per una realtà fisica, concreta, che puoi toccare con mano, un essere nel mondo, presenti davanti alle cose, senza artifici.
“Io uso la fotografia come protesi, come il bastone dei ciechi di cui parla Cartesio: uno strumento per entrare in rapporto con la realtà, toccarla. L’arte per me è un modo di conoscere il mondo”.
La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, è visitabile fino al 27 luglio 2025 (ingresso gratuito)