Qualche mese fa ha fatto discutere sui quotidiani il boom di domande a Napoli per diventare operatori ecologici a tempo indeterminato. Tredicimila istanze per trecento posti. Tra queste quelle di laureati e diplomati (avvocati e archeologi, dottori in ottica o in studi umanistici, geometri e liceali) quando il requisito sufficiente richiesto sarebbe stato la licenza media.

Tra le tante cose lette al proposito, con polemiche più o meno motivate, ci hanno colpito le parole di una giovane laureata che ha deciso di partecipare al concorso per avere un’occupazione “vera e stabile”, che garantisca un “posto fisso con ampie garanzie” non trovando “niente di particolare in una laureata che, come lavoro, sceglie liberamente di fare la spazzina”. Anzi “Per me si tratta di un lavoro di grande dignità”.

Ci viene in mente un piccolo libro, rieditato proprio in questi giorni dalla casa editrice di Otranto AnimaMundi, che racconta una storia vera, quella di Michel Simonet spazzino per scelta ormai da trent’anni a Friburgo, la sua amata città.

 

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Michel ha fatto studi di economia e teologia, e ha lavorato come contabile per anni ma ad un certo punto del suo percorso, ha preso una decisione:

«Per quanto mi riguarda – racconta – occupavo prima un posto burocratico climatizzato-sterilizzato che ho lasciato volontariamente per operare manualmente sotto un cielo variabile».

Simonet descrive in un diario dai toni leggeri le sue giornate tra le strade e i marciapiedi della città, luoghi intensi di natura umana, dove si ha tempo di conoscere e incontrare dal manager alla prostituta, al senzatetto, all’alcolizzato, ai bambini che giocano fino all’anziana vedova che ogni tanto offre il pranzo a casa sua a tutti i cantonieri del quartiere. Un guazzabuglio di varia umanità che Michel immortala con le sue parole dettate ogni mattina dentro al dittafono che lo aiuta a prendere appunti di realtà.

“La vita sulla strada arricchisce in senso psicologico, in buon senso, fa emergere il sistema nervoso di una società, riconosce le persone al di là dei personaggi, trova il giusto equilibrio tra opinione ed emozione. Vi si incontra ogni genere di temperamenti e di costituzioni”, e segue un elenco di tipi umani, con lo sguardo mai giudicante di qualcuno che accoglie e ha simpatia per le fatiche di tutti.

Non si indugia in alcun romanticismo nel racconto, il mestiere è un mestiere duro, fatto di levatacce, di gelo, di pioggia, di odori terribili. In certe pagine Michel descrive le cose peggiori da pulire, quelle che ti fanno venire il voltastomaco, la maleducazione delle persone che sporcano per il gusto di farlo. Ma il tono rimane sempre quello di un uomo sereno in quello che fa: “non devo fare altro che guardarmi indietro per contemplare il quartiere pulito che le mie stesse mani hanno spazzato. Sopraggiunge allora una sensazione di immediata utilità che fa sentire tanto bene. So che a qualcuno può sembrare strano, ma a me piace davvero spazzare, ripetere gli stessi gesti, spingere il carretto (…) Sono piaceri fisici e naturali che presuppongono una forma di grazia, con in più il fatto di lavorare in esterno, sotto un cielo mutevole che ci insegna ad essere aperti alla diversità e ad apprezzare il lato empirico della vita di tutti i giorni, l’importanza del momento presente, e che consacra il felice incontro tra un mestiere e un temperamento”.

Il suo carretto di cantoniere in città lo riconoscono tutti dalla rosa che spunta tra i rifiuti. Non un gesto di portata filosofica o poetica, ma solo la volontà di abbellire il suo “mezzo di lavoro”.

Non è un libro che vuole insegnare qualcosa ma alla fine ti fa pensare e in qualche modo ci provoca: non esiste un lavoro più o meno nobile, ma solo un lavoro ben fatto o fatto male.

Se volete leggerlo: Lo spazzino e la rosa, Anima Mundi edizioni, Otranto, 2023