“Agli archeologi, custodi di ogni fine” (Alice Rohrwacher)

La Chimera, film di Alice Rohrwacher uscito nelle sale qualche tempo fa, racconta le scorribande -siamo negli anni 80- di un gruppo di uomini, tra la provincia toscana e laziale, che inizia a rubare oggetti dalle tombe etrusche. Tesori rimasti immobili nei secoli, considerati sacri e intoccabili, vengono trafugati e venduti; oggetti che smettono di avere un’anima, che non sono più temuti per la loro appartenenza ai morti – quindi a qualcosa di invisibile da rispettare-  diventano merce di scambio. Questi tombaroli, poveracci alla fine in cerca di ricchezza, scoperchiano tombe, si infilano in quelle stanze sotterranee senza alcun timore, un po’ sventati, facendo danni irreparabili: l’oggetto trafugato perde una parte della sua storia e del suo destino per diventare solo qualcosa da monetizzare.

                

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© La Chimera

Quella di cui vorremmo parlare oggi invece è la storia di persone che dedicano vita e lavoro a fare esattamente il contrario: restituiscono un’anima e a quegli oggetti e a quei luoghi con il prezioso aiuto delle nuove tecnologie.

È questo il caso, ad esempio, di Arianna Traviglia, direttrice dell’Istituto di Tecnologia a Venezia, archeologa, che a capo di un gruppo di scienziati, utilizza le nuove tecnologie e l’IA per studiare, proteggere, indagare un patrimonio che è parte di ciò che siamo, che ci tiene radicati alle nostre origini e ci permette di comprendere meglio la nostra storia. In particolare, riuscendo a scovare, tramite sistemi sofisticati di rilevamento, siti archeologici che si trovano ancora nel sottosuolo e mai esplorati, cercando nuove tecniche di conservazione di materiali facilmente deperibili, oppure aiutando le indagini della polizia nel ricostruire le reti sociali che gravitano attorno al trafugamento delle opere.

Tutto questo è raccontato in un’interessante intervista che potete leggere qui e che entra nel dettaglio dei progetti.

Sembrerebbe una combinazione strana quella tra archeologia, robotica e Intelligenza artificiale ma, dice Arianna, sono proprio i suoi studi umanistici che le permettono di lavorare molto bene con l’IA perché le rendono ben chiaro quale sia il fine ultimo: è l’archeologo, per fare un esempio concreto, che deve dire alla macchina come un oggetto archeologico debba essere ripreso in tre dimensioni, affinché la scansione tridimensionale sia veramente utile alla ricerca

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Senza quello sguardo la macchina sarebbe monca.
È solo una visione fortemente interdisciplinare di cui l’uomo è elemento imprescindibile, che può dar luce a una ricerca che sia ricca e nuova
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