Oggi vorremmo prendere con un po’ di leggerezza un argomento che può riguardare tutti, chi più chi meno, magari anche solo per un periodo della vita.

Nel 1935 il signor Aleksej Stachanov sembra abbia raggiunto un primato di estrazione del carbone mai ottenuto fino a quel momento, tanto che verrà preso come esempio per incentivare gli operai a produrre di più dal Movimento Stachanovista che proprio da lui prende il nome.
Il termine ha assunto poi una sfumatura più ironica e spesso lo utilizziamo quando si vuole indicare qualche collega che mette troppo zelo nelle sue giornate lavorative.

Questa settimana è uscito su Internazionale un articolo che svela, attraverso studi scientifici, il lato nascosto del rapporto tra lavoro eccessivo e salute mentale.

Si parla di Churchill, ad esempio, uno che ha trascorso mediamente diciotto ore al giorno a lavorare a causa delle sue enormi responsabilità, ma che nel frattempo è riuscito anche a scrivere quarantatré libri in settantadue volumi. Sembra che soffrisse di una depressione che lui stesso chiamava “il suo cane nero”. Ma la depressione non era causata, come alcuni pensano, dall’eccesso di lavoro bensì, al contrario, sembra che il lavoro gli permettesse una via di fuga, una distrazione dal disagio e dalle sofferenze dell’anima e che per questo ci si buttasse a capofitto.

“Come hanno scritto gli autori di uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista scientifica Plos One, “lo stachanovismo (in alcuni casi) si sviluppa come tentativo di ridurre i sentimenti di ansia e depressione”

E ancora “Le persone alle prese con lo stachanovismo possono facilmente negare che si tratti di un problema e quindi non vedere i problemi soggiacenti che stanno auto-medicando. Come può il lavoro essere negativo?”

Se avete voglia di approfondire il tema e gli spunti che l’articolo offre lo potete leggere completo qui.

Una provocazione simpatica, che fa da contraltare al nostro iperattivismo contemporaneo, la troviamo nella lettura di un breve libricino – Elogio dell’ozio – di Robert Louis Stevenson, il famoso autore de L’Isola del Tesoro e dell’inquietante Dottor Jekyll e mister Hyde.

ROBERT-LOUIS-STEVENSON-vita-e-opere-min

Ve ne lasciamo qui qualche estratto, ma ne consigliamo la lettura integrale!

L’attività frenetica, a scuola o in università, in chiesa o al mercato, è sintomo di scarsa voglia di vivere. La capacità di stare in ozio implica una disponibilità e un desiderio universale, e un forte senso di identità personale. C’è in giro molta gente mediocre, semi-viva, che a malapena è consapevole di vivere, se non nell’esercizio di qualche occupazione convenzionale. Portate queste persone in campagna o a bordo di una nave, vedrete come rimpiangeranno la loro scrivania e il loro studio. Non hanno curiosità, non sanno abbandonarsi alle sollecitazioni del caso; non provano piacere nell’esercizio delle loro facoltà se non hanno uno scopo. E se la necessità non girovagasse attorno a loro con un bastone starebbero proprio immobili. E’ inutile parlare a queste persone: non possono stare in ozio, la loro natura non è abbastanza generosa. Quando non devono andare in ufficio, quando non hanno fame né voglia di bere, il grande palpitante mondo per loro è solo un gran vuoto (….) La devozione perpetua a ciò che un uomo chiama i suoi affari, può essere sostenuta soltanto dal perpetuo oblio di molte altre cose.

E ancora:

Osservate per un momento uno dei vostri giovanotti indaffarati, vi prego. Egli semina fretta e raccoglie indigestione. Investe una grande attività per ottenere un interesse, e ne riceve in cambio un grande squilibrio nervoso. O si ritira da qualunque compagnia e vive recluso in un abbaino con le pantofole e un calamaio di piombo; oppure capita in mezzo alla gente, teso e pungente, con tutto il sistema nervoso contratto, per scaricare qualche sua collera prima di tornare al lavoro.

Forse dovremmo smorzare un po’ la nostra presunzione di essere indispensabili e insostituibili, pensando di portare sulle spalle il peso del mondo, perché tutto sommato, come scrive Stevenson, Atlante non era altro che un signore con un incubo prolungato.