Nei mesi più duri dell’anno scorso il poeta Franco Arminio ha messo a disposizione il suo numero di cellulare e il suo tempo a tutte quelle persone sconosciute che avessero voluto parlargli, ogni giorno per tre ore. Il cellulare ha suonato in continuazione, in un ascolto senza sosta. “Faccio la mia piccola parte; la gente parla, si sente compresa e, quando chiude la telefonata, il peso che ha sul cuore è un po’ più lieve. Tutto qui». Qui potete leggere l’intervista di Mario Calabresi.

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Ci è tornato alla memoria perché il 24 gennaio Papa Francesco ha tenuto il suo discorso al mondo della Comunicazione. Intanto la prima provocazione è che in un contesto in cui la missione principale è quella di parlare e comunicare, il focus sia invece sulla parola ascolto. Cosa c’entra? Ci sorge spontaneo.

Ecco qui i punti che ci siamo annotati.

Innanzitutto, ascoltare è la condizione necessaria di un dialogo autentico. E noi stiamo perdendo questa capacità, anche se nella nostra società al contrario gli strumenti di comunicazione lasciano sempre più spazio a podcast e chat audio. Aumenta l’offerta e scema la nostra capacità di ascoltare davvero.

Per farlo bene è necessario partire dall’ascolto di sé e delle proprie esigenze più vere, solo così, riconoscendo il nostro desiderio di essere in relazione con l’altro, l’ascolto non si svuota e non diventa un mero esercizio. Anzi ci sono due rischi possibili, l’origliare che porta alla strumentalizzazione dell’altro per il proprio scopo, e il parlarsi addosso, in cui ciascuno cerca il consenso e non si avvicina alle ragioni di chi ha difronte.
Il dialogo così diventa un duologo, e cioè un monologo a due voci, dove uno aspetta solo di poter replicare. Se siamo onesti, quante volte ci poniamo in questo modo in una conversazione?

La cosa che vorremmo trattenere è che invece ascoltare è una fatica che vale la pena e che richiede pazienza e capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, anche un solo frammento di verità, perché ci sarà sempre una cosa seppur minima che potremo apprendere dalla persona con cui stiamo parlando.
Pensiamo che sia un esercizio che si può imparare e che può farci simili a quel signore tutto maturo seduto sul treno Capranica-Viterbo, con un orecchio verde -acerbo- e che alla domanda di un passeggero su cosa se ne facesse così anziano di un orecchio così giovane risponde:

Dica pure che son vecchio. Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio. È un orecchio bambino, mi serve per capire le cose che i grandi non stanno mai a sentire: ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli, le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli, capisco anche i bambini quando dicono cose che a un orecchio maturo sembrano misteriose…” (Gianni Rodari)

Il discorso integrale del Papa che pensiamo valga la pena di leggere perché ci riguarda anche nei nostri ambiti lavorativi, lo potete scaricare qui