Abbiamo letto due notizie non correlate tra loro, che riguardano ambiti differenti ma che in qualche modo ci sembra diano un segnale.

Da una parte scopriamo che in Svezia, nelle scuole, si sta tornando a carta e penna: tecnologia dannosa, apprendimento in calo, il governo decide di vietare l’uso dei dispositivi nelle materne. Sui banchi carta, quaderni e matite colorate. Il ritorno a metodi tradizionali però non è qualcosa di reazionario che si oppone alla modernità, ma il frutto di una decisione supportata da dati scientifici.

In un altro trafiletto, nei mesi scorsi, rimbalza la notizia che il mercato degli NFT (Non fungible Token) è in crisi nera, con collezioni che al 95% sono senza valore. Bolla speculativa probabilmente che magari tornerà a risalire ma che indubbiamente ha subito una brusca frenata. Oltre a tutte le cause per addetti ai lavori, ci viene da pensare che forse ci sia ancora una (sana) difficoltà a considerare opere fisiche e opere virtuali come fossero la stessa cosa.

Vediamo in queste due vicende un alzare la testa della preziosa e fondamentale realtà, fatta di cose concrete, di materia, di odori, di consistenza, di percezione. Quaderni da sfogliare, matite da tenere in mano, opere d’arte da toccare, da appendere, con una dimensione fisica che occupa uno spazio sulla parete di casa nostra.

 

pavese

 

Come spesso accade, non si tratta di guardare il futuro con uno specchietto retrovisore, ma di porsi le domande giuste. Miguel Benasayag, filosofo, studioso degli effetti delle nuove tecnologie sul cervello umano, afferma che la prima domanda importante che dobbiamo porci è questa: non stiamo delegando troppo le funzioni umane alle macchine, con il grande rischio di diventare noi meno potenti, meno capaci di immaginare? Come possiamo usare le macchine senza atrofizzarci e senza perdere tutte le funzioni che fanno di noi degli esseri umani e viventi? Una bella sfida.

Pavese in un bel racconto dal titolo “Vocazione” scriveva:

Ricordo quanti papaveri si vedevano dalla finestra nella campagna, e quelli non me li ero certo sognati. Colori così vivi non si sognano (…) ma quei papaveri non servivano a niente e spuntavano sul rialto, dentro la finestra, come una cosa vera (…) Di tanto in tanto che riuscivo a sbirciare fuori dalla finestra, capivo che nulla vi poteva accadere e trovavo proprio nell’erba e nelle cose un senso di incrollabile fiducia.

Una fiducia nell’esistenza delle cose che è essenziale. Che tiene ancorati al mondo concreto e tridimensionale. Forse è questo che ci rassicura davvero.