Un tema emerso spesso nei mesi passati oggetto di approfondimenti e statistiche, è stato quello delle grandi dimissioni, o, in generale del cambio di passo rispetto ad un’idea di lavoro stressante e invadente a discapito delle esigenze di benessere e felicità che ciascuno ha per la sua vita. È una presa di consapevolezza che interroga e che alle volte infastidisce per la retorica con cui viene affrontata ma che sollecita comunque una preziosa domanda di senso nelle attività che svolgiamo.

Ci torna in mente Belluca, il protagonista di un racconto di Pirandello (che potete leggere integralmente qui), quel misero impiegato, zimbello dei colleghi, ingabbiato tra una vita privata che non lascia scampo e un lavoro così opprimente e routinario da ingrigire le giornate.

Eppure, ad un certo punto lo sguardo dell’impiegato cambia, si fa aperto e sorridente, luminoso, tanto da sembrare pazzo agli occhi di chi non capisce.

Cosa è accaduto?

Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza m ai un momento di respiro, come una bestia bendata,(…) sissignori, s’era dimenticato da anni e anni ‐ ma proprio dimenticato ‐ che il mondo esisteva.

Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l’eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d’addormentarsi subito. E, d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno.
Gli era parso che gli orecchi, dopo tant’anni, chi sa come, d’improvviso gli si fossero sturati.

Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt’intorno.

Quel fischio di un treno lontano riaccende misteriosamente nell’anima qualcosa che dà a Belluca la forza per riprendersi, per ritentare, per prendere quella boccata d’aria, per cui la vita non può più essere come prima, poiché -scrive Pirandello- ora il mondo “gli è rientrato nello spirito”.
L’impiegato che si era occupato solo di registri, di cataloghi, rimanendo cieco e sordo alla vita, inizia a dire cose inaudite, a immaginare luoghi lontani, a desiderare.

Ora parlava di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola.

Il mondo gli si spalanca di nuovo davanti come infinita possibilità.

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Viene voglia di tenere ben sturate le orecchie, per non perdere quel fischio in lontananza.

Vi lasciamo con le ultime righe del racconto:

Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo‐ufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo‐ufficio ormai non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo: ‐ Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…