Anche la lotta verso la cima
basta a riempire il cuore di un uomo.
Bisogna immaginare Sisifo felice.
A. Camus
Cos’è per noi la fatica? Cosa vuol dire faticare? È davvero possibile “adorare la fatica” come racconta una delle protagoniste del nuovo libro di Mario Calabresi “Alzarsi all’alba”?
Bisogna essere leali. Perché mai fare fatica dovrebbe essere un bene e, addirittura. come scrive Camus, il riempimento del cuore che permette a Sisifo di continuare a spingere senza sosta quel masso sulla montagna? È con questa domanda che abbiamo letto il libro e che siamo andati alla sua presentazione: per capire perché possa valere la pena parlare di fatica, quando ogni cosa dice il contrario. In realtà ci sembra che la comodità sia diventata la misura di tutto: meglio farsi portare la cena che cucinarla, meglio avere tutto il cinema in casa che uscire, meglio comprare dal divano che andare in un negozio, meglio una videochiamata che un incontro, meglio affidarsi all’IA che approfondire e studiare. Non è che alla fine la scorciatoia sia meglio del percorrere tutta la strada?
Difficile non sentire il rischio di una certa retorica nell’affrontare il tema. Ma non è così.
Perché come sempre Calabresi fa parlare le persone.
Racconta di incontri e di vita vissuta. E sfidiamo chiunque, leggendo il libro, a pensare che le parole dette siano vuote o ridondanti.
Ci sembra di vedere la ragazza che affronta le onde gelide, con i piedi amputati per una malattia, per allenarsi per le Olimpiadi, la signora di 89 anni che da una vita prepara la focaccia nel negozio di Sori, il musicista che decide di lasciare il suo sogno per portare avanti la vigna del padre che è venuto a mancare, la “pattuglia dell’alba” fatta da tutti coloro che lavorano all’Ortomercato di Milano e che iniziano le loro giornate alle tre del mattino, i ventun anni di difficilissimo restauro del Cenacolo di Leonardo, il marito che da tanti anni accudisce la moglie ammalata di Sla.

Ma tutti i protagonisti, ognuno con la sua storia, parlano di una fatica piena di significato, che pesa, eppure allo stesso tempo non pesa, perché diventa un motore di vita che porta in qualche modo a una maggiore soddisfazione e alla consapevolezza di una vita vissuta a pieno. Anche nelle fatiche che non si sono scelte, e che ci si trova semplicemente ad affrontare. Ed è qui che si rimane un po’ senza parole, con in testa una sola domanda: “Ma io ce la farei?” È inevitabile confrontarsi e sentirsi inadeguati, quando ci si scoraggia per molto meno di così.
Vi lasciamo qui il link dell’incontro perché vale la pena ascoltarlo.
Si può andare sulla cima di una montagna a piedi, o in elicottero. Il panorama sarà lo stesso ma la scommessa, dice Calabresi, è che il gusto e il sapore di quel momento saranno profondamente diversi.
Immagine di copertina: © Archivio La Repubblica
